Errore chirurgico e risarcimento: un intervento di appendicite si trasforma in un incubo per Marcello, vittima di un errore chirurgico evitabile. Scopri quando un errore chirurgico evitabile diventa colpa medica e dà diritto al risarcimento.
Introduzione
Un errore chirurgico si definisce evitabile quando l’evento dannoso che si verifica durante o subito dopo un’operazione non sarebbe avvenuto se il medico avesse rispettato le buone pratiche cliniche. Un errore chirurgico evitabile può trasformarsi in una responsabilità medica ospedaliera con conseguenze molto gravi per il paziente. Non tutte le complicanze post-operatorie sono riconducibili a malasanità, ma quando l’errore chirurgico è prevedibile e prevenibile, ci troviamo davanti ad una responsabilità medica vera e propria.
È il caso di Marcello, 23 anni, sportivo, aspirante poliziotto, che si reca al pronto soccorso per forti dolori addominali. I medici diagnosticano un’appendicite acuta e decidono di operarlo d’urgenza. Ma l’intervento non va come previsto: viene eseguito con una tecnica obsoleta e più invasiva, senza rispettare il consenso firmato che indicava una laparoscopia. Il risultato? Un’emorragia interna grave, un secondo intervento ed un danno permanente alla sua salute e al suo futuro professionale.
Indice
1. Diagnosi corretta, procedura chirurgica sbagliata
2. Cosa dice la perizia medico-legale
3. Il nesso causale tra tecnica scorretta e danno
4. Differenza tra complicanza e colpa professionale
5. Conclusione
1. Diagnosi corretta, procedura chirurgica sbagliata
Quando Marcello si presenta in ospedale con dolore addominale acuto, gli viene diagnosticata correttamente un’appendicite acuta, patologia comune ma che richiede un intervento tempestivo. Come previsto dalla moderna pratica clinica, l’intervento più indicato è l’appendicectomia laparoscopica, una tecnica poco invasiva che consente tempi di recupero più rapidi e riduce il rischio di un intervento chirurgico errato.
Infatti, Marcello firma il consenso informato per una appendicectomia laparoscopica. Tuttavia, i medici decidono di operare con accesso laparotomico, cioè tramite un’incisione addominale ampia. Una scelta che non solo contraddice quanto indicato nel consenso informato, ma che comporta maggiori rischi di emorragia ed infezione, oltre a tempi di guarigione più lunghi.
L’intervento viene eseguito con una tecnica chirurgica che si rivelerà inadeguata e, poche ore dopo, Marcello inizia a manifestare segni di shock ipovolemico: pallore, tachicardia, dolore addominale intenso. È il corpo che lancia l’allarme, ma la risposta medica arriva solo dopo diverse ore. Quando viene operato per la seconda volta, i chirurghi trovano un’emorragia interna massiva con emoperitoneo.
Cos’è l’emoperitoneo?
L’emoperitoneo indica la presenza di sangue nella cavità peritoneale, lo spazio che circonda gli organi addominali. Può essere causato da traumi, rotture vascolari o complicanze chirurgiche. Nei casi gravi, può portare a dolore intenso, instabilità emodinamica e shock.
Nel caso di Marcello, l’emoperitoneo si è verificato dopo l’intervento chirurgico ed ha richiesto una nuova operazione urgente. Secondo la CTU, questo quadro è riconducibile al sanguinamento provocato dalla tecnica chirurgica impiegata per rimuovere l’appendice, diversa da quella indicata nel consenso informato.
Si tratta di una complicanza evitabile, che – se gestita secondo le corrette procedure – avrebbe potuto non verificarsi o essere trattata prima che degenerasse.
Per capire meglio cosa succede quando il consenso informato non viene rispettato, leggi il nostro approfondimento
2. Cosa dice la perizia medico-legale
Dopo l’intervento e i sintomi persistenti che lo hanno seguito, Marcello si rivolge ad Aiuto Malasanità per capire se il suo caso rientri in un episodio di malasanità chirurgica. Il passo decisivo è l’avvio di un Accertamento Tecnico Preventivo (ATP) presso il tribunale competente, finalizzato a verificare eventuali profili di colpa professionale medica.
L’analisi della documentazione e delle condizioni del paziente
Nel corso dell’ATP, il Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) esamina attentamente la cartella clinica, i referti postoperatori, la scheda del consenso informato e visita personalmente il paziente. Il CTU giunge ad una conclusione inequivocabile: l’intervento è stato eseguito in maniera non conforme alle buone pratiche cliniche.
In particolare, viene sottolineato come:
- L’accesso chirurgico utilizzato (laparotomia mediana) non corrispondeva a quanto previsto nel consenso informato firmato da Marcello, che contemplava un’appendicectomia laparoscopica, tecnica meno invasiva.
- Non c’era alcuna motivazione clinica d’urgenza che giustificasse il cambio di tecnica operatoria.
- L’emoperitoneo (raccolta di sangue nella cavità addominale) riscontrato dopo l’intervento non era dovuto ad una complicanza inevitabile, bensì ad una “lesione iatrogena legata alla tecnica scelta”.
Il riconoscimento del danno biologico permanente
La perizia medico-legale quantifica nel 20% il danno biologico permanente subito da Marcello, questo significa che la valutazione medico-legale ha stabilito che Marcello ha riportato un danno importante. Si tratta di una valutazione che tiene conto non solo della cicatrice chirurgica ma anche delle ripercussioni generali sulla qualità della vita del paziente. Tra gli esiti residui vengono riportati:
- Dolori addominali ricorrenti, legati ad aderenze post-chirurgiche;
- Astenia e affaticamento cronico, con impatto sulla vita lavorativa e sociale;
- Esiti estetici permanenti, legati alla cicatrice mediana visibile;
- Limitazioni nella pratica sportiva e nelle attività fisiche abituali.
Questi elementi, secondo il CTU, sono direttamente riconducibili alla scelta tecnica errata e non condivisa con il paziente, il quale non è stato messo in condizione di valutare consapevolmente i rischi dell’alternativa chirurgica adottata.
Il fondamento della responsabilità sanitaria
La relazione del CTU evidenzia come il danno subito da Marcello non sia frutto del decorso naturale della patologia, ma conseguenza di una condotta non conforme ai protocolli ed in violazione del diritto all’autodeterminazione terapeutica. La mancata informazione sul cambio di tecnica operatoria costituisce una violazione del consenso informato, con riflessi rilevanti anche sul piano risarcitorio.
In definitiva, la perizia fornisce le basi oggettive per sostenere la responsabilità medica del chirurgo e della struttura sanitaria, aprendo così la strada ad una legittima richiesta di risarcimento da parte del paziente per i danni subiti.
Se vuoi sapere come si svolge una valutazione medico-legale in caso di errore sanitario, visita il nostro sito nella pagina dedicata agli aspetti legali
3. Il nesso causale tra tecnica scorretta e danno
Per capire se davvero c’è stata malasanità, bisogna sempre rispondere ad una domanda chiave: quel danno era evitabile oppure no? In termini tecnici si parla di nesso causale, cioè del legame diretto tra ciò che ha fatto (o non ha fatto) il medico ed il danno subito dal paziente.
Nel caso di Marcello, il consulente medico-legale incaricato dal giudice ha risposto con chiarezza: sì, il danno era evitabile, e sì, è stato causato da una tecnica chirurgica sbagliata.
Una tecnica non all’altezza delle raccomandazioni
Secondo la perizia, il problema nasce dal modo in cui è stata eseguita l’operazione. Invece della tecnica laparoscopica (meno invasiva e indicata nel consenso firmato da Marcello), si è optato per un intervento a cielo aperto (laparotomia), senza che vi fosse una reale urgenza che lo giustificasse.
Ma non solo: durante l’intervento, il chirurgo ha usato una legatura manuale dei vasi sanguigni senza utilizzare strumenti di sicurezza come clips metalliche o dispositivi per la cauterizzazione. Questo ha comportato, dopo pochi giorni, il distacco dei punti ed una grave emorragia interna.
Il danno non è una fatalità
Il consulente tecnico lo spiega in modo chiaro: se fosse stata usata la tecnica corretta, o almeno una tecnica sicura e conforme alle buone pratiche, quel sanguinamento non si sarebbe verificato. La conseguenza non è stata una “complicanza imprevedibile“, ma un evento evitabile, causato da una scelta chirurgica non adeguata. Nel caso di Marcello, il CTU spiega chiaramente che la tecnica chirurgica adottata non rispettava gli standard raccomandati dalla letteratura scientifica e dalle linee guida.
Perché è importante dimostrare il nesso causale
In medicina non tutto è prevedibile o controllabile. Ma quando un danno deriva da un errore che si poteva evitare, allora non si parla più di sfortuna, ma di responsabilità medica. È questo che cambia tutto, anche sul piano legale: perché dimostrare che c’è un nesso causale tra l’errore e il danno è il primo passo per ottenere giustizia e risarcimento. Dimostrare il nesso causale tra la tecnica sbagliata e il danno è dunque fondamentale per configurare una colpa professionale medica e chiedere il risarcimento.
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4. Differenza tra complicanza e colpa professionale
Quando qualcosa va storto dopo un’operazione, è normale chiedersi: è stato solo un imprevisto o c’è stata una responsabilità dei medici?
La risposta dipende da un concetto fondamentale in medicina legale: la differenza tra complicanza e colpa professionale.
Cos’è una complicanza?
Una complicanza è un evento negativo che può capitare anche quando tutto è stato fatto correttamente. Alcuni interventi, per quanto ben eseguiti, comportano dei rischi inevitabili. Non sempre un peggioramento significa che c’è stato un errore. Una complicanza chirurgica evitabile, invece, è un evento che si sarebbe potuto prevenire rispettando le buone pratiche.
Cos’è invece la colpa professionale?
Parliamo di colpa medica quando il medico non segue le regole della buona pratica clinica, quando agisce in modo imprudente, negligente o poco competente (imperito). In questi casi, il danno non è una sfortuna, ma il risultato di una condotta sbagliata e, soprattutto, evitabile.
Il caso di Marcello: non una complicanza, ma un errore
Nel caso di Marcello, non si è trattato di una semplice complicanza. L’emorragia interna era un rischio noto, ma poteva essere evitata con l’utilizzo della tecnica corretta.
Secondo la perizia medico-legale, il professionista ha scelto un approccio chirurgico non previsto nel consenso informato, ed ha legato i vasi sanguigni a mano, senza strumenti adeguati. Questo ha causato il distacco dei punti ed un sanguinamento grave, che ha lasciato Marcello con un’invalidità permanente.
Perché questa distinzione è importante?
Capire la differenza tra una complicanza inevitabile ed un errore medico evitabile è essenziale per stabilire se esiste una responsabilità giuridica.
Nel caso di Marcello, l’errore c’è stato, e la legge riconosce che in situazioni del genere il paziente ha diritto a un risarcimento per malasanità.
5. Conclusione
La storia di Marcello dimostra che anche un intervento di routine può trasformarsi in un calvario se non vengono rispettati i protocolli clinici ed i diritti del paziente. Quando un’appendicectomia eseguita con tecnica scorretta comporta un’emorragia interna, un secondo intervento ed invalidità permanente, non si può parlare di semplice complicanza, ma di colpa medica.
In questi casi, la valutazione medico-legale è lo strumento decisivo per far valere i propri diritti. Un errore chirurgico può e deve essere risarcito quando comporta danni duraturi alla salute, al lavoro, alla vita sociale.
Se anche tu — o un tuo familiare — avete subito un danno a seguito di un intervento chirurgico mal gestito, potreste avere diritto ad un risarcimento per errore chirurgico.
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