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pPROM (rottura prematura delle membrane) e danni da parto: risarcimento

Rottura delle membrane e risarcimento danni

Una rottura prematura delle membrane può pregiudicare seriamente l’evoluzione della gravidanza: ecco perché ci sono delle linee guida che i medici devono seguire scrupolosamente. Qualora questo non accada e si dovessero riscontrare problemi, le famiglie coinvolte possono avere diritto a un risarcimento danni.

Rottura prematura delle membrane (o rottura delle acque): cos’è

Il liquido amniotico contenuto nel sacco è fondamentale per un corretto sviluppo del sistema respiratorio, gastroenterico e muscolo-scheletrico del bambino; protegge anche il bambino da infezioni e urti, gli assicura una buona idratazione e lo tiene isolato, consentendogli di muoversi liberamente. Inoltre impedisce che si creino aderenze tra le membrane amniotiche e la pelle del bambino, e ha un importante ruolo di sostegno biochimico. Per questo, per un adeguato proseguimento della gravidanza, qualora si rompessero prematuramente le membrane, occorre intervenire tempestivamente.

La pPROM (rottura prematura delle membrane) si associa al 40% dei parti pretermine poiché, più avviene precocemente, e più il feto è esposto ad infezioni e infiammazioni, sia per la mamma che per il neonato, e a quel punto occorre far nascere il bambino.

Ma in assenza di complicanze che impongono un rapido espletamento del parto, come alterazioni gravi della cardiotocografia (ovvero l’esame che tiene monitorati i battiti fetali, i movimenti e le contrazioni materne) corioamnionite clinica, distacco di placenta, l’epoca gestazionale è il fattore più importante per valutare rischi e benefici materno-fetali di un management conservativo rispetto alla scelta di interrompere la gravidanza.

La cosa indispensabile però è che alla mamma venga fatta seguire un’adeguata terapia, per scongiurare epiloghi nefasti. È dimostrato che l’uso contemporaneo di corticosteroidi e antibiotici riduca la mortalità del feto di 7 volte (1.3% vs 8.3%), dimezzando la percentuale di distress respiratorio neonatale (18.4 vs 43.6%), senza aumentare i rischi infettivi (3% vs 5%).

Rottura delle membrane e risarcimento danni se non viene applicato il protocollo

Quando si rompono le acque occorre che il ginecologo applichi il protocollo, a seconda se la rottura è avvenuta in epoca gestazionale a termine (e quindi oltre le 37 settimane) o se prematura. Infatti la rottura delle membrane può pregiudicare il normale sviluppo della gravidanza.

Le linee guida, nazionali e internazionali, indicano questi approcci:

PROM (rottura prematura delle membrane nella gravidanza a termine): valutate le condizioni cliniche e condivise le decisioni con la donna adeguatamente informata, l’induzione precoce e la condotta d’attesa sono entrambe da ritenersi scelte accettabili in casi di PROM a termine.

pPROM (rottura prematura delle membrane nella gravidanza pretermine): valutati attentamente con la donna e il neonatologo i rischi infettivi e quelli connessi alla prematurità, sino al raggiungimento di 37 settimane, è generalmente da preferire una condotta d’attesa. Se però vi è un’infezione in atto che possa pregiudicare la salute di mamma e/o bambino, occorrerà procedere al taglio cesareo programmato.

Inoltre, in caso di pPROM, sono raccomandate queste accortezze:

  • Minimizzare i rischi infettivi
  • Evitare la visita digitale se non in travaglio e utilizzare uno speculum sterile
  • Somministrare antibiotici a largo spettro per almeno 7 giorni se la gravidanza non è ancora giunta a 34 settimane
  • Effettuare profilassi GBS al parto (streptococco beta emolitico)
  • Somministrare un singolo corso di cortico- steroidi fra 24 e 34 settimane (per accelerare la maturazione polmonare)
  • Infondere magnesio solfato < 32w come neuroprotezione fetale se il parto è imminente
  • Effettuare un management conservativo < 33.6 w in assenza di controindicazioni materno-fetali
  • In caso di pPROM dopo le 34 settimane l’opzione di una conduzione d’attesa deve essere discussa con la donna

Inoltre è sconsigliabile l’utilizzo della terapia tocolitica (che ha la funzione di inibire le contrazioni e scoraggiare il travaglio) in caso di pPROM perché aumenta i rischi infettivi per la madre.

Se una o più di queste condizioni non vengono applicate e il feto o la madre subiscono gravi conseguenze, allora è possibile ottenere un risarcimento dei danni per malasanità.

Rottura prematura delle acque e risarcimento danni, in quali casi

Una famiglia che stiamo assistendo si ritrova a vivere una condizione di grave disabilità del figlio poiché il personale sanitario non ha saputo gestire in maniera corretta una pPROM. La signora si è recata in ospedale avendo notato perdite di liquido continue. Dopo le opportune valutazioni viene ricoverata confermando la diagnosi di pPROM a 29 settimane.

La visita mostrava ancora una condizione di dilatazione lontana dal travaglio, collo raccorciato un centimetro e pervio al dito, confermando la perdita di liquido limpido. Una doccia fredda, dal momento in cui la gravidanza, fino a quel momento, aveva avuto un decorso fisiologico.

Il giorno del ricovero e quello successivo trascorrono senza che i medici prendano alcuna decisione né intraprendano alcuna iniziativa. Intanto la donna continuava a perdere liquido.

Dalla cartella della signora emerge che a quel punto viene applicato il “protocollo PROM”, ma non viene specificato se pPROM (cioè, ricordiamo, pretermine e prematuro) o PROM.

Dopo 2 giorni di ricovero viene eseguito un controllo ecografico, sia esterno che interno, che rileva un feto con un peso stimato di 1350gr e un collo dell’utero lungo di 3 cm quindi in disaccordo con la visita che lo dava raccorciato (un collo dell’utero è da considerarsi invariato nell’intervallo tra 4 e 3 cm, a seconda delle scuole ostetriche è raccorciato sotto 2,5 cm). Per altri 3 giorni (e siamo a 5 giorni di ricovero e di perdite di liquido) i medici non hanno fatto nulla, e la situazione è rimasta invariata. Nessuna terapia, nessun antibiotico, nessuna ciclo cortico-steroideo per accelerare la maturazione polmonare.

Al sesto giorno sulla cartella viene riportato un sunto della situazione, e viene indicato di lasciare proseguire il travaglio, qualora fosse partito. Al settimo giorno gli esami ematochimici dimostravano un aumento oltre il limite dei globuli bianchi con neutrofilia, indice di un’infezione batterica in corso che persisteva anche nel controllo effettuato al nono giorno di ricovero, con l’aggravante di un aumento della PCR, indice di un processo infiammatorio in corso.

Il decimo giorno passa senza sintomatologia, fino al primo pomeriggio del giorno successivo, quando alle 14:30 la paziente viene accompagnata in sala parto per farla travagliare, giacché lamentava dolori dalla mattina. Il bambino è nato ed è sopravvissuto, ma con gravissimi problemi permanenti.

Ricordiamo che le linee guida internazionali raccomandano un management conservativo sotto le 34 settimane, in assenza di controindicazioni materno-fetali. E fino a quel momento non vi era stata nessuna controindicazione. E probabilmente non sarebbe insorta nessuna infezione se avessero seguito il protocollo pPROM che indica una terapia antibiotica ad ampio spettro per minimizzare i rischi infettivi.

Il bambino e la famiglia, purtroppo, hanno dovuto pagare con una grave disabilità il prezzo di queste scelte sbagliate, ottenendo un importante risarcimento per i danni subiti.

Conclusioni

Se ti riconosci in quanto appena descritto, allora potresti pensare di contattare degli avvocati specializzati in risarcimenti da danni medici e malasanità ginecologica.

Leggi anche: Avvocato malasanità: come scegliere quello giusto (risarcimento danni)

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